Prosegue il racconto di quello che fu, con il secondo capitolo del libro “Uomini di Trading – Storia di Vita e di Borsa di Due Trader Professionisti”.

Lost in translation

Così come un modo di dire tipico di una lingua può acquistare un diverso significato nella traduzione, perdendo irrimediabilmente qualcosa, talvolta anche i nostri sogni, nell’avverarsi, lasciano indietro qualcosa, sfumano in una diversa realtà.

1 aprile 2008: è passato un anno da quando ho iniziato ufficialmente la mia professione, ho realizzato il mio sogno: vivo insieme alla donna che amo, riesco a mantenermi, lavoro senza dover rendere conto a nessuno, non devo gestire particolari relazioni professionali (sono solo davanti al computer) il mio ufficio è comodo e vicino (prima porta a destra dopo l’ingresso di casa), guadagno e sono stimolato. Forse fumo un po’ troppe sigarette, ma cosa importa, mi sento molto a mio agio e sto bene.

Non sono un mago del trading, non mi dicono niente i numeri che cambiano ogni secondo nei book né riesco a leggerci dei segnali, non faccio 500 operazioni al giorno; apro i grafici dei miei 4 o 5 titoli favoriti, quelli che ho imparato a conoscere come le mie tasche, li osservo e aspetto. Faccio 10, 15 operazioni al giorno, principalmente usando le Bande di Bollinger applicate ad un grafico a 5 minuti, talvolta 1 minuto; se ci sono i requisiti, ogni tanto tengo un’operazione aperta overnight. Guadagno, incasso stop loss  ma recupero e il bilancio a fine mese raramente è negativo. 

1 aprile 2009: un altro anno è trascorso. Il mio ufficio sembra essere rimpicciolito, mi sta stretto. Sono sempre solo, i miei amici grafici non sono più una buona compagnia: quando non sono noiosi, sono così vivaci da diventare imprevedibili e pericolosi. Persino Fiat, mio cavallo di battaglia, non mi parla più come una volta. Da qualche mese non si può più neanche vendere allo scoperto (in gergo “shortare”), bisogna essere sempre compratori (in gergo “andare long”) in un mercato Orso decisamente importante, un mercato che non ho mai visto prima e che non riesco a capire. Le giornate diventano lunghissime; le sigarette, in attesa di un segnale, aumentano; mia moglie si lamenta che l’ufficio puzza come un pub irlandese.

Con le prime secche batoste, arrivano anche le prime incertezze: comincio ad essere agitato quando sono sul mercato, sento il peso delle perdite che devo recuperare, divento avventato e perdo ancora. Io non gioco in Borsa, odio quell’espressione che banalizza il mio lavoro; cerco di essere lucido e razionale ma mi specchio negli occhi preoccupati di mia moglie, a loro non riesco a mentire: ho paura, temo che la situazione mi sfugga di mano, temo di aver fatto il passo più lungo della gamba; non sopporto che lei si preoccupi di me, ho l’inventata sensazione di deluderla. 

Maledetta psicologia, è davvero la chiave di volta come mi ha raccontato quel trader famoso. Posso avere un buon metodo e saper interpretare il mercato, ma se poi divento allergico alle perdite, riesco ad avere costanza nell’applicare il mio metodo, magari dopo il terzo brutto stop loss subito? O ancora, riesco ad evitare la trappola del gioco d’azzardo (io non gioco in Borsa!) aumentando sempre di più i rischi? Riesco a far tesoro degli sbagli oppure li archivio in angoli bui della mente, favorendo il ricordo delle volte in cui mi è andata bene?

Lo stress è insopportabile, il mio sogno mi sta facendo vivere male, altro che lost in translation! Vorrei prendermi una pausa, prima di perdere tutti i soldi faticosamente guadagnati. L’occasione arriva: il matrimonio del mio migliore amico, Fabio, in Canada; sono orgoglioso di essere il suo testimone ed essere al suo fianco nel giorno più importante della sua vita. Chiudo i monitor e parto per Montreal; una pausa di due settimane con Fabio e gli amici di sempre, è quello che ci vuole. Durante questa vacanza mi rilasso, parlo molto con mia moglie, l’unica persona con cui riesco a lasciarmi andare fino in fondo: il suo atteggiamento calmo, ma inquadrato, mi tranquillizza, mi aiuta a mettere a fuoco la situazione e mi infonde coraggio: lei crede in me e questo mi basta.

Durante il soggiorno canadese lego molto anche con un ragazzo, compagno di università di Fabio, già conosciuto in qualche precedente occasione, di mestiere programmatore. Lo trovo simpatico e brillante, un piccolo mago informatico con un senso dell’umorismo demenziale che mi va a genio e una cultura cinematografica non indifferente che, per un divoratore di film come me, non può che entusiasmare. Non posso immaginare il ruolo importante che avrà in futuro per me e il mio lavoro, ma per ora mi piace parecchio; mi dicono che è timido ed introverso, ma con me scatta subito il feeling.

Una volta tornati, riprendo a lavorare: la pausa mi ha fatto bene, ritrovo sicurezza nelle mie analisi e ricomincio a guadagnare. Mi vengono delle nuove idee e per avere maggiore fiducia prendo carta e penna, analizzo i grafici storici a 5 minuti e mi segno tutte le operazioni, gli stop loss e i profit target; cerco una sistematicità rigorosa, seppure in maniera rudimentale. Sembra quasi un preludio di quello che sarebbe poi stato. Sulla carta i metodi sembrano vincenti, ma poi nella realtà, torna lei, la maledetta psicologia, ad influenzare le mie operazioni e la sistematicità degli ingressi sul mercato.

Nonostante tutto, ogni giorno continua ad essere come una nuova guerra: io contro la Borsa. Non so se guadagnerò o perderò, non so se avrò la forza di fare quello che va fatto, nonostante tutta la mia preparazione e miei test cartacei. Per cercare di spiegarmi meglio, farò un paragone con il tennis, mia seconda grande passione, dopo il cinema: puoi essere allenato ed in perfetta forma fisica, conoscere i colpi e saper palleggiare perfettamente, in allenamento, con il tuo avversario. Può succedere però che, in un torneo, con lo stesso rivale, di colpo ti irrigidisca, e i movimenti che dai per automatizzati non vengano; le emozioni prendono il sopravvento e ti bloccano. Non è che di colpo tu non sappia più giocare a tennis, è solo che non sai gestire bene le tue emozioni, le quali finiscono per influenzare la tua performance. Allo stesso modo, nel trading, saper gestire i tuoi sentimenti diventa fondamentale: o li controlli o ti spazzano via.

Gennaio 2010: non riesco a vedere la luce in fondo al tunnel. L’incertezza regna sovrana, il mio umore è condizionato inevitabilmente dal risultato giornaliero: alcune volte mi sento un leone, altre un perdente. Le giornate negative mi feriscono, quelle positive non sono una cura efficacie, visto che hanno appena assolto il loro dovere, ossia recuperare le perdite. In sostanza, che sia guadagno o sia perdita non importa più: vivo comunque male, il sogno è diventato quasi un incubo.

Il foglio Excel su cui contabilizzo minuziosamente ogni operazione fatta diventa specchio inequivocabile della realtà. I numeri parlano chiaro, non mentono mai, quello che mi stanno dicendo a gran voce è difficile da accettare: vivere di trading, almeno del trading che io ero in grado di fare, ha un costo salatissimo, costo che non sopporto più.

Dopo l’ennesima giornata negativa e il morale sotto i piedi, sento di non farcela. Ho bisogno di uscire, di prendere una boccata d’aria da quella prigione che ormai è diventato il mio ufficio. In cerca di normalità vado a mangiare una pizza con mia moglie alla Cantinella, locale in della movida torinese. Cerco di rilassarmi, ma non ci riesco, guardo negli occhi mia moglie e mi sento nudo, a lei non posso mentire. Le emozioni prendono il sopravvento, gli occhi diventano lucidi, mi sforzo di mantenere il controllo ma il nodo che ho in gola sembra strozzarmi.Urge un profondo esame di coscienza. “Da domani non trado più”, le dico, “ho bisogno di fare chiarezza, per me, per te, per il nostro futuro” . Lei mi guarda, abbozza un mezzo sorriso con occhi bassi, poi di colpo alza lo sguardo, mi fissa dritta negli occhi e con un tono avvolgente mi cita una battuta di un film: “Sai perché cadiamo? Per imparare a rimetterci in piedi!”.

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Lo studio dei mercati è un cammino senza un punto di arrivo: l’ingenuità degli esordi si arricchisce, prima di consapevolezza e conoscenza, poi di confusione e complessità. Solo il ritorno alla semplicità degli inizi, impreziosita dall’esperienza vissuta, consente di proseguire il percorso, consapevoli di non poter sapere mai del tutto cosa sia giusto fare, ma con la certezza di aver capito cosa sia sbagliato.

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