Nell’articolo precedente abbiamo analizzato che cosa si intende per vendite allo scoperto. Adesso parliamo invece del divieto temporaneo delle vendite allo scoperto, cercando di capire quali benefici produce sui mercati finanziari.
Andiamo con ordine.
I mercati finanziari possono attraversare momenti di forte ribasso, veri e propri crolli, alimentati da panic selling generale ed altissima volatilità.
Durate queste fasi, le autorità competenti possono stabilire il divieto temporaneo delle vendite allo scoperto sui titoli azionari e gli strumenti a questi derivati.
In Italia è la CONSOB a stabilire il divieto temporaneo delle vendite allo scoperto. L’obbiettivo è quello di limitare al massimo le speculazioni ribassiste sui listini azionari, cercando quindi di porre rimedio alla emorragia dei mercati.
Ecco i principali divieti di short selling della storia recente italiana:
- negli anni 2008-2009, anni caratterizzati dalla crisi dei mutui subprime;
- negli anni 2011-2012, caratterizzati dalla cristi dei debiti sovrani (in questo caso il divieto riguardava i soli titoli azionari bancari italiani).
- a partire dal mese di marzo 2020, durante i movimenti ribassisti causati dall’emergenza mondiale Covid-19.
In particolare il divieto è entrato in vigore il 18-03-20 con durata fino al 18-06-20. In realtà, è stato poi abrogato anticipatamente, il 19-05-20.
Nell’immagine seguente un breve elenco delle principali delibere Consob in tema di divieto delle vendite allo scoperto.
Ha davvero efficacia questo divieto? Proibire lo short selling produce i risultati sperati? Secondo me no, anzi. In particolare perché il divieto:
- Elimina i rimbalzi (a volte anche importanti) legati alle “ricoperture” delle posizioni short.
Chiudere una posizione short, ovvero una posizione al ribasso, significa infatti acquistare il titolo (all’incontrario di chiudere una posizione long, ossia al rialzo, che significa vendere il titolo).
La chiusura di una posizione short, in gergo ricopertura, implica necessariamente l’acquisto del titolo e questo genera un impulso rialzista, a volte anche forte (esattamente all’inverso di quando si chiudono operazioni al rialzo vendendo il titolo che quindi per forza di cosa scende). - Diminuisce la liquidità sul mercato, perché manca all’appello una controparte di investitori.
- Può aumentare il panic selling psicologico legato alla paura di default di titoli bisognosi di questo “aiuto”.
- Chi detiene il titolo, di conseguenza, è più portato a disfarsene a maggior ragione (alimentando così ulteriori vendite e potenziali crolli).
- Elimina una parte di copertura dei portafogli (che per loro natura sono long e quindi, necessitano di protezioni, soprattutto in momenti di ribasso), che quindi vengono ulteriormente alleggeriti (visto che non hanno coperture a sostenerli) con conseguenti vendite e nuovi potenziali crolli!
- Pensiamo al bieco big player speculatore, quello che può davvero mettere in ginocchio un titolo o un paese scatenando una reazione di crolli a catena.
Ebbene costui ha a disposizione i più svariati strumenti per perseguire i sui fini, strumenti che il povero trader tapino se li sogna, quindi del divieto dello short selling se ne fa un baffo. - Se osserviamo il passato, si nota come il divieto venga introdotto quando i crolli dei mercati hanno già fatto buona parte del loro corso.
In altre parole, il divieto arriva sempre troppo tardi, quando ormai la frittata è fatta. Inoltre, eventuali conseguenti risalite dei titoli oggetto del divieto, non sono da imputarsi ad esso, quanto più ad una ripresa generale dei mercati.
Vediamo qualche esempio
A titolo esemplificativo, nell’immagine sotto stante, possiamo osservare il grafico giornaliero di due titoli azionari presi a campione (UCG e FCA), confrontati con i grafici giornalieri dell’indice del paniere FTSEMib40 e dell’Indice S&P500, negli anni 2007-2009.
La linea rossa verticale rappresenta la data in cui entra in vigore il divieto dello short selling; la linea verde verticale, la data in cui è abolito. Sul grafico dell’indice S&P500 le righe verticali individuano lo stesso periodo di riferimento.
Ebbene si può facilmente notare come il divieto sia entrato in vigore dopo un crollo impressionante delle quotazioni e che queste abbiano continuato il movimento ribassista anche dopo di esso.
Si può anche notare come l’inversione di tendenza del trend, evidenziata dal cerchietto verde, sia avvenuta su tutti i titoli e mercati, indipendentemente dal divieto.
Semplicemente i mercati mondiali (nell’esempio rappresentati dal “mercato guida” per eccellenza, ovvero l’S&P500), nel mese di marzo 2009 hanno invertito il trend ribassista ed iniziato un’inversione di marcia durata fino a marzo 2020.
Imputare il cambio di rotta al divieto di vendere allo scoperto mi sembra alquanto fantasioso (considerando anche non è mai stato applicato su tutti i listini mondiali).
Questo è solo un esempio, ce ne sono anche di più recenti.
Basta verificare l’andamento dei titoli azionari italiani dal 18 marzo 2020 (giorno di entrata in vigore del divieto) ad oggi.
Prendiamo come esempio il titolo Unicredit, il più rappresentativo, in quanto a peso, del nostro paniere principale. Il divieto di vendere allo scoperto entra in vigore dopo una perdita di valore, dai massimi toccati in febbraio 2020 di -51,46%. L’andamento del titolo post divieto è mostrato dal grafico sottostante.
Detto fuori dai denti…
Pensare che vietare lo short selling trasformi una carogna moribonda in un animaletto pimpante o che lo stato della carogna sia dovuto all’operatività short (e alle speculazioni di fantomatici cattivoni) è sbagliato.
Esistono analisi statistiche sui titoli in passato oggetto di questo divieto (e gli esempi fatti in precedenza ne sono un cenno) e la maggior parte di questi ha continuato il trend ribassista anche dopo il divieto di short selling. Io nel 2008 ero sui mercati, come lo sono ora, e queste cose le ho viste con i miei occhi.
E quindi cosa cambia sul mercato con l’entrata in vigore di questo divieto? Assolutamente niente, se dovrà riprendersi si riprenderà, se dovrà collassare, collasserà. Non cambia niente! Anzi no, qualcosa cambia: il povero trader/investitore privato è messo con le spalle al muro perché gli tocca operare solo long in un mercato orso e non godere di qualche boccata d’aria short intraday o overnight.
Nel prossimo articolo andremo ulteriormente a fondo sull’argomento, riportandoci su binari meno generali, ma più specifici del trading algoritmico, analizzando l’impatto che il divieto di vendere allo scoperto può avere…o non avere, su un portafoglio di trading systems operanti su mercati azionari con logiche sia rialziste che ribassiste.